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La Rivoluzione russa: la Chiesa ortodossa

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Il secondo elemento cardine della Russia di inizio ‘900 è la Chiesa Ortodossa. Secondo la tradizione bizantina, il legame che unisce la monarchia alla Chiesa è strettissimo, sacrale. Lo zar è l’unto del signore, baluardo e sostegno della fede sulla terra. Da questa concezione ne conseguirono però anche dei rischi spirituali.

In apparenza florida e presente con oltre cinquantamila chiese in tutta la Russia, la Chiesa ortodossa in realtà fu compromessa dalla riforma impostale nel 1721 dallo zar Pietro il Grande che con il suo Regolamento ecclesiastico la decapitò, sostituendo il Patriarca con un funzionario pubblico, laico, posto a presiedere l’assemblea dei vescovi, il Santo Sinodo. Accettando la riforma, la Chiesa russa accettò di fatto di diventare un dicastero spirituale, al servizio dello Stato.

Scrive il filosofo Berdjaev: “Prevalse una diversa concezione della Chiesa: quella che la considera un’istituzione e una società di credenti, e la riduce alla gerarchia e al tempio. La Chiesa si trasformò in un istituto di cura nel quale le anime individuali entrano per essere risanate. È in tal modo che si afferma l’individualismo cristiano, insensibile al destino della società umana e del mondo. […] Un’ortodossia di questo genere, esclusivamente ascetico-monastica, in Russia è stata resa possibile solo dal fatto che la Chiesa ha scaricato tutto il peso dell’edificazione della vita sullo Stato. Solo l’esistenza di una monarchia autocratica consacrata dalla Chiesa ha reso possibile questo individualismo ortodosso, questa separazione del cristianesimo dalla vita del mondo. Il mondo era guidato e conservato dalla monarchia ortodossa che guidava anche lo stesso sistema ecclesiastico”.

Il nocciolo del problema risiede proprio qui: se lo zar e le autorità ecclesiastiche sono unite da un unico destino, persa la fiducia nel primo, la Chiesa stessa si troverà allo sbando. Quando nel 1916 fu tolto l’obbligo della confessione pasquale ai funzionari statali, la frequenza al sacramento precipitò dal 100% al 10%. La Chiesa ortodossa alla vigilia della rivoluzione era ormai decaduta nella considerazione popolare che la considerava alla stregua di un potere burocratico senza alcuna autorità morale.

A dire il vero, più parti all’interno della Chiesa supplicarono Nicola II affinché convocasse un nuovo Concilio che avrebbe dovuto occuparsi dei progetti di riforma della vita ecclesiale, ma lo zar si oppose sempre, e il Concilio venne convocato solo dopo l’abdicazione del monarca. Sarà ormai troppo tardi per influenzare la vita sociale: la rivoluzione bolscevica era alle porte.

Quindi, allo scoppio della prima guerra mondiale la situazione politica e sociale della Russia è già in stallo, e il conflitto, più che produrre una crisi, impedirà di uscire da quella in atto. È in questo vuoto, in questa assenza di riferimenti che si inserirà il marxismo, portato avanti con determinata lucidità da Lenin.

Scrive nel 1918 lo scrittore Bulgakov: “Bisogna far rinascere la vita ecclesiale; questo è oggi il compito patriottico, culturale e perfino politico più importante in Russia. Solo da questo centro spirituale può rinascere anche la Russia e perciò vedo nel nostro Concilio l’evento più importante della storia russa recente, in particolare dell’epoca rivoluzionaria con tutti i suoi cambiamenti di scena e le tempeste partitiche”.

Il Concilio tanto atteso si aprì nel mese di agosto del 1917 e il 20 settembre del 1918 fu chiuso forzatamente dai bolscevichi andati al potere.

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